Introduzione Cosa resterà degli anni ’80?

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Il secondo numero di Vox Popular presenta alcuni saggi tratti dalle relazioni presentate al convegno Cosa resterà degli anni ’80. La popular music e il jazz tra gli anni 1980 e 2000, svoltosi presso il Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma il 13 e 14 febbraio 2015 e promosso e organizzato dalla sezione italiana della IASPM.

Convegno e call for papers della rivista nascono da una doppia esigenza: da un lato, studiare analiticamente un periodo particolarmente trascurato dagli studi storico-musicali nonostante negli ultimi anni abbia acquisito sempre più interesse negli studi sui media; dall’altro, connettere tra loro approcci di studio diversi con lo scopo di aprire una riflessione a livello interpretativo. Da questo punto di vista, tanto il titolo del convegno quanto la sede ospitante attestano una sinergia in parte attuata (il Conservatorio di Parma è stato tra i primi a istituire corsi di Diploma accademico in popular music), in parte maggiormente auspicabile, tra jazz e popular music studies.

La maggior parte degli studi, come è stato ricordato anche durante il convegno, sembra mostrare una certa diffidenza nei confronti della popular music prodotta nel corso degli ultimi vent’anni del Novecento, oltre che una sorta di dichiarata impotenza di fronte alla complessità dei suoi aspetti più squisitamente sonori e all’assenza di categorie consolidate. Questa posizione, oltre che fungere come una sorta di giustificazione autoassolutoria, non permette di cogliere la complessità delle trasformazioni collegate a queste musiche e, con essa, gli aspetti di sorprendente continuità con il tempo presente.

Un aspetto interessante nei cambiamenti di paradigma che avvengono tra la fine degli anni Settanta e gli Ottanta, infatti, come suggerito anche da alcune delle analisi qui proposte, è dato dallo stretto rapporto con i paradigmi estetici precedenti. Se, da un lato, gli sviluppi delle estetiche musicali degli anni Ottanta sono certamente influenzati dall’evoluzione tecnologica del periodo, dall’altro alcune pratiche musicali del periodo precedente permangono e si sovrappongono in modo creativo ai nuovi contesti produttivi e alle innovazioni delle tecniche di registrazione.

Nel ripercorrere la traiettoria della popular music degli anni Ottanta e Novanta con uno sguardo il più vario e transgenerazionale possibile, questo numero si distingue, forse, proprio per la pluralità di approcci e punti di vista. Troviamo così, accanto a studiosi affermati da tempo nel campo dei popular music studies, ricercatori giovani e indipendenti che hanno vissuto quegli anni nella fase della propria adolescenza o, addirittura, dell’infanzia.

Non è un caso, quindi, che tra i contributi più originali di questo numero vi siano quelli incentrati sul ruolo specifico che viene ad assumere la musica di quella che è stata definita neotelevisione. Il tema assume una rilevanza specifica se pensiamo al legame oggi esistente tra immaginario anni Ottanta (che è ritornato e continua a tornare, in forma di revival) e i ruoli di potere attualmente ricoperti dalla generazione che in quegli anni viveva da “spettatore attivo” la propria adolescenza.

Un fenomeno chiave in questo senso è analizzato nell’articolo di Alice Fumero, incentrato su Fivelandia, collana discografica che ha raccolto annualmente le sigle dei cartoni animati, dei telefilm e dei programmi per bambini e ragazzi in onda sulle reti Fininvest fra il 1983 e il 2002, vero e proprio “microcosmo” del piccolo schermo che ne ha forgiato l’immaginario, non soltanto sonoro. Avvalendosi anche di un’intervista al Maestro Enzo Draghi – voce e compositore di molte sigle – e svelando in modo preciso i nessi tra tecniche produttive e linguaggi pubblicitari, il contributo di Fumero permette di interrogarsi sul ruolo che queste canzoni hanno rivestito – e che vedono nella figura della “eterna bambina” Cristina D’Avena un’autentica icona, se non il loro correlativo oggettivo – e sul fascino nostalgico che ancora oggi possono suscitare.

Anche i contributi di Guido De Rosa e Simone Garino prendono in esame fenomeni chiave di quegli anni promossi all’interno della holding Fininvest. Garino prende in esame il successo televisivo della trasmissione Striscia la Notizia focalizzando l’attenzione sulla sigla musicale, elemento solitamente trascurato dagli studi esistenti sul tema ma che, al contrario, come dimostra l’autore attraverso un’applicazione originale del metodo musematico di Philip Tagg e della teoria dell’articolazione di Richard Middleton, può fornire elementi centrali per comprendere il successo del programma e della figura “mostruosa” del Gabibbo e la relazione stretta con un altro “mostruoso” fenomeno emergente in quegli anni: la “discesa in campo” di Silvio Berlusconi. Guido De Rosa, invece, analizza l’evoluzione di una manifestazione musicale chiave come il Festivalbar, che nel 2007 giungerà alla sua quarantatreesima e ultima edizione.

L’articolo di Maurizio Franco sposta il focus sulla scena del jazz italiano. A partire da un’indagine di quello che l’autore definisce un’epoca di Rinascimento sia in termini qualitativi, sia quantitativi – maturazione di poetiche nuove e sviluppo di un mercato e un ambito professionali – si approda a una messa in discussione del paradigma del “riflusso” e del disimpegno, anche culturale, con cui nella vulgata corrente viene generalmente designato il passaggio agli anni Ottanta.

Seguono una serie di articoli dedicati ad alcuni generi musicali e/o autori, il cui fiorire risale proprio al periodo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. L’articolo di Gerhild Fuchs problematizza i concetti di “contaminazione” e di “ibridismo culturale” a partire dall’analisi della scena rap, hip hop e raggamuffin dell’Italia meridionale, con un focus specifico sulla formazione degli Almamegretta. Il contributo di Alessandro Giovannucci si concentra, poi, sul fenomeno delle posse, “tra musica, politica e tecnologia”.

Seguono tre articoli di taglio più propriamente monografico. Il primo, di Giacomo Giuntoli, è dedicato alla figura dello scrittore Pier Vittorio Tondelli e, in particolare, al rapporto tra la sua opera letteraria e saggistica e la musica prodotta nel contesto emiliano, aspetto questo tanto peculiare, quanto poco studiato.

La musicologa e giornalista Vanna Lovato ci ha concesso di rendere disponibile per i lettori di Vox Popular un ampio stralcio del suo volume Franco Battiato 1965-2007. L’interminabile cammino del Musikante (Editori Riuniti, Roma 2007), dedicato al passaggio tra anni Settanta e Ottanta e incentrato sull’analisi di tre dischi particolarmente fortunati e influenti (L’era del cinghiale bianco, 1979; Patriots, 1980; e La voce del padrone, 1981; tutti per EMI).

Luca Marconi, tra gli studiosi più rappresentativi dei popular music studies italiani, propone un saggio dedicato all’analisi dettagliata del brano «Vita spericolata» di Vasco Rossi, concentrandosi sull’espressività della musica e dell’arrangiamento, sulle relazioni intertestuali con altri brani e sul rapporto con i significati delle parole cantate; elementi questi che conducono Marconi a una disamina più generale dei fattori che hanno portato Vasco Rossi a diventare una delle più influenti icone pop italiane dell’epoca.

Di respiro più ampio gli ultimi due saggi contenuti in questo numero. Il primo, di Alessandro Carrera, docente presso l’università di Houston, è incentrato sul ruolo della critica musicale in Italia nel passaggio Settanta-Ottanta attraverso un percorso denso di riferimenti al vissuto personale di quegli anni.

Il saggio di Massimo Airoldi, Davide Beraldo e Alessandro Gandini presenta un’indagine delle associazioni tra brani e artisti musicali italiani degli anni Ottanta generate dai recommendation systems di YouTube, algoritmi che consigliano automaticamente all’utente quale musica ascoltare o acquistare e i cui suggerimenti si basano sui comportamenti di consumo aggregati degli utenti. L’analisi proposta corrobora un dato solo apparentemente banale, che si presta a ulteriori verifiche empiriche: la prossimità di due brani o artisti nel network dei video suggeriti dall’algoritmo di YouTube corrisponde a un’omologa vicinanza nel “campo semantico” degli ascoltatori.

Buona lettura.

I curatori
Gabriele Marino
Errico Pavese